giovedì 14 luglio 2011

Recensione di Addio, bella crudeltà (Marco Tamborrino)




Vediamo un po’. È difficile dire sinceramente cosa si pensa quando si è già disposti a pensar bene di qualcosa. In realtà nel mio caso è stato più semplice del previsto.
Ero qui davanti al pc quando arrivò la donna-corriere. Mi avventai sul pacco, lo sventrai col coltello, estrassi il libro. Per il primo quarto d’ora ho avuto chiarissimo in mente il fatto che stavo leggendo qualcosa di cui ero disposta a pensar bene e di cui avrei parlato bene, in qualunque delle ipotesi.
Allora mi sono arrabbiata e mi sono fatta un caffè (che dopo aver passato la mattinata con Murakami ci voleva tutto). Ho pensato, non è giusto che io sia positivamente prevenuta. A me non piacerebbe che qualcuno fosse prevenuto su di me.
Ero a pagina 15, quando ho preso il caffè. E a pagina 25 tutto si è fatto molto più onesto, perché mi sono sinceramente scordata che stavo leggendo qualcosa di Marco Tamborrino.
Dunque, uno scrittore e un bambino. Un incontro fortuito in una circostanza non proprio fortunata. Il lanciarsi insieme verso una scoperta di sé, di quello che si è dimenticato e di quello che non si è mai voluto capire. Un viaggio nel sogno quale possibile modo di interpretare la realtà. Due righe spicciole di riassunto sono necessarie. Ora che ho assolto al mio compito, posso passare oltre.
Primo pensiero, un bambino e uno scrittore. No, io detesto i bambini (momento di sconforto).  Secondo pensiero, il bambino Thomas che si addormenta sulla spalla dell’adulto Lorenzo. Aspetta un attimo, questo mi ricorda qualcosa. Mi sono ricordata della sconosciuta bambina inglese che si è addormentata contro la mia spalla su un autobus mentre ero in vacanza. Ho ripensato a quel momento di tenerezza, la tenerezza di un bambino che si affida a te senza conoscerti, e allora ho capito. Ho capito che l’autore non stava parlando di un bambino ideale e di un adulto ideale (vale a dire gli stereotipi di bambini quali molte letture ci hanno abituati): stava in effetti parlando di due persone reali, di sensazioni vere, non artificiose non artificiali. Terzo e riassuntivo pensiero, cavolo ma come sono belli il bambino e lo scrittore in questo libro.
Andiamo avanti. Mi sono riconosciuta in quasi tutto ciò che Lorenzo dice e pensa nel corso della narrazione: la solitudine, il crogiolarsi nella malinconia senza un motivo apparente, il sostituire la letteratura alla vita, il non vivere, il non saper conciliare il sogno con la realtà o trasportare il sogno nella realtà. Il ricorrere del doppio (le due lune, le due porte), la mano di Thomas che le riunisce in una sola: è decisamente una buona trovata. Utilizzare un’immagine nuova, concretizzare in un’immagine originale qualcosa che originale non è, bensì eterno, l’eterno tema realtà/sogno che percorre da sempre la letteratura. Ciò che intendo dire è che uno dei pregi di questo libro è l’originalità delle riflessioni che si impiantano su temi vecchi quanto il mondo; lo scrittore riesce a non scadere nella banalità e, quando pensi che lo farà, quando vedi che ha un piede in fallo e sorridi con un ghigno diabolico, lui va in un’altra direzione, apporta qualcosa di nuovo, un altro angolo o un modo tutto suo di dirlo. Ti fa arrabbiare da matti.
Vale la pena di parlare ancora della costruzione delle immagini. Il romanzo è tutto percorso da un simbolismo lieve, incantevole, fitto di rimandi tra una sezione e l’altra: una immagine si innesta sulla precedente con estrema naturalezza e con estrema naturalezza sfuma nella successiva. Colpisce anche la forza evocativa di questa scrittura: che evochi una città deserta un prato un oceano lo scenario appare nitido alla mente del lettore. Non è una capacità comune: ricordo la mia difficoltà nel visualizzare la tremenda cattedrale di Ken Follett. Ok, non sto dicendo che questo scrittore è superiore a Ken Follett nella costruzione delle immagini, sarebbe un delirio di onnipotenza: dico che avere la capacità di coinvolgere il lettore nella storia e di suscitare nella sua testa l’esatta visione di quanto descrive è una capacità molto buona, che va sviluppata.
Procediamo. Considerazioni sul ritmo della narrazione: scorrevole, piacevole, fluido. Ho un debole per la pagina 53. Ognuno di noi, credo, ha una pagina preferita nei libri che legge. Mentre leggevo, mi sono sorpresa a chiedermi dove avessi già conosciuto un ritmo di questo tipo. Non me lo ricordo, non sono ancora riuscita a ricordarmelo. Solo che mi suonava all’orecchio come qualcosa di familiare e di antico. La scena del prato, ad esempio. Non saprei, le parole si incastrano naturalmente l’una all’altra, si procede senza alcuno sforzo, è come una sinfonia in cui una nota non potrebbe essere diversa da com’è. Mi colpisce molto perché per me è molto importante, sia quando scrivo sia quando leggo: devo avvertire che ogni parola è stata appositamente scelta e non è lì per caso, devo sentire la scrittura scivolare. Questa è una cosa che per esempio si perde molto nei libri letti in traduzione: ed io che leggo molti romanzi stranieri e pochi italiani sono sempre contenta quando il suono della mia lingua scivola morbido morbido nell’orecchio.
Una considerazione sul messaggio. La migliore trovata a livello ideologico in questo libro è certamente il fatto che Lorenzo si sforzi di mettere in pratica ciò che Thomas teorizza, ma che in fondo non ci riesca. Thomas è un bambino, è fresco, nulla di irreparabile nella sua vita è ancora successo. Lorenzo è un giovane scrittore, è vero, biologicamente giovane ma psicologicamente vecchio: è vissuto troppi anni in un certo sistema di vita per poterlo cambiare da un momento all’altro. Non si può cambiare se stessi. Si può sperare di cambiare, ci si può illudere e si può vivere con la speranza che un giorno si riesca. Ma cambiare effettivamente è difficile per tutti, sempre. Però si può conservare il messaggio, si può insegnare, anche ciò che non si vive si può insegnare. E Lorenzo, nonostante la solitudine in cui vive, nonostante l’impossibilità di cambiare la propria condizione, capisce che può ringraziare Thomas in un modo: tramandando ciò che lui gli ha insegnato perché qualcuno possa un giorno mettere in pratica i suoi ideali. Non Lorenzo, purtroppo, ma qualcun’altro. È la generosità, in fondo, di ogni scrittore.
Spero di non aver scritto un mare di banalità. In effetti mi sono sforzata di scrivere esattamente quello che pensavo. Quindi per essere coerente fino in fondo debbo rimproverare all’autore un cinque/sei refusi nel testo. Ma, giacché ci faccio i conti tutti i giorni e so che è impossibile rileggere con un occhio al cento per cento nitido quello che si è scritto il giorno prima oppure solo un momento fa, auspico che nel futuro abbia alle sue spalle tutto un pronto staff di correttori di bozze ed editori.
Questo libro mi ha fatto ripensare a quello che scrivevo a 17 anni e che in confronto faceva tutto sommato cagare. Ma questa è una chiusa molto ruffiana.

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