martedì 5 luglio 2011

Come scegliere un titolo e vivere di rendita per tutta la vita

“Se io trovassi un posto a questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany...comprerei i mobili e darei al gatto un nome!” (Colazione da Tiffany)
Negli ultimi tempi mi sono spesso arrovellata sulla questione: come si sceglie un buon titolo per un romanzo? Immaginate di avere un buon romanzo nel cassetto: la trama, i personaggi, le ambientazioni, tutto vi convince. C’è un solo un piccolo, insignificante problema: la vostra creatura, come quella del dottor Frankenstein e il gatto di Holly Golightly, non ha ancora un nome.
Una volta, nei giorni dell’innocenza, credevo che i titoli fossero una sorta di automatismo. Ogni volta che concludevo un racconto o nel mezzo o ancora prima di cominciarlo avevo chiara nella testa la sintetica, lampante, felice combinazione di parole cui diamo il nome di titolo. Ebbene, ora so che non è così. Sono circa tre mesi che mi concentro sul titolo da dare a un romanzo e finalmente capisco che non era un simpatico automatismo, bensì una carie. Da togliere al più presto.
Sappiamo tutti quanta rilevanza abbia un titolo quando si tratta di vendere un libro. Nell’economia di mercato, un buon titolo è spesso più importante di un buon libro. Pensiamo a “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, “La solitudine dei numeri primi”, “Nessuno si salva da solo”: sono cose che colpiscono, senz’altro, cose che attirano l’occhio, cose su cui ci piace indugiare. Al di là spesso del loro reale valore letterario.
Quando inviamo un manoscritto a una casa editrice, dobbiamo pensare che il titolo è la prima cosa che il nostro lettore noterà – forse l’unica. E spesso dipende solo dal suo occhio e dal nostro titolo il futuro di quella creatura. L’agognato paradiso della pubblicazione o il bidone per il riciclo della carta.
Qualche tempo fa, leggevo su una rivista le parole di Chiara Valerio, consulente editor per Nottetempo:
“La mia regola base nell’affrontare un testo è guardarne solo il titolo. […] La seconda è leggerlo tutto senza cercare folgorazioni nelle prime dieci righe”.
Ok, possiamo concordare sulla seconda regola. Ma la prima non getta anche voi nello sconforto più totale?
Non tutti, certo, seguono gli stessi parametri. Paolo Giordano aveva intitolato il suo romanzo “Dentro e fuori dall’acqua”. Editore e editor proposero - o imposero? – “La solitudine dei numeri primi”. E fu un enorme successo letterario. Non solo per il titolo, certo, ma ANCHE per il titolo.
Qualche giorno fa ho lanciato su Facebook la seguente domanda: “Cosa deve comunicare un titolo? Cosa deve comunicare a voi?”.
Queste le risposte ricevute:
M.T. : Un brivido. Quando, dopo aver letto il libro, ripenso al titolo, devo sentire un brivido.
M.S. : Curiosità? Troppo banale. Mistero? Troppo thriller. Shock? Troppo anticonvenzionale. La verità. Deve comunicare la verità. La verità di un libro non è la frase a effetto né lo scandalo. Non è la sintesi di sentimenti e sentimentalismi. Non è la metafora incomprensibile. La verità di un libro, per come la intendo io, è ciò che di più vicino c'è alla semplicità. La ricercatezza del titolo è per quelli che hanno bisogno di uno stimolo che vada oltre il bisogno stesso di leggere. Mentre il titolo dovrebbe essere la cosa più fedele a ciò che c'è in quelle pagine e nell'animo di chi l'ha scritto.
D.A. : Concretamente? Deve attirare il lettore.
M.P. : Deve costringere il lettore a soffermarsi quasi celasse un mistero, ci si deve chiedere: cosa vorrà dire questo titolo? In che modo un romanzo può giustificarlo?
Ebbene, io vorrei tanto che la mia ricerca si considerasse conclusa. Magari questi suggerimenti e spunti potranno esservi utili. Magari l’esempio di Giordano potrà consolarvi nelle lunghe notti insonni, quando saprete di aver elaborato un titolo che fa cagare, ma che persone più ragionevoli alle vostre spalle sapranno come vendere il vostro libro.
Io, purtroppo, sono ancora in fase critica. Scrivo e riscrivo liste di parole, traccio diagrammi. Ebbene, non rinuncio all’idea della folgorazione. So che arriverà. Sono fiduciosa. Nel frattempo coccolerò il mio libro come un pasciuto gatto Senza Nome.


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