lunedì 25 luglio 2011

Le atroci conseguenze dello Show, don't tell

Oggi è stata una giornata importante per me, sebbene la maggior parte delle persone sane di mente (leggi, i miei genitori) non ne capisca il perché.
È cominciato tutto stamattina, quando ho letto quest’articolo di Gamberetta:
Giacché non penso che la maggior parte delle persone sane di mente (ovvero chi leggerà questa mia ciancia) desideri spendere 30 minuti ad analizzare l’articolo, riassumo brevemente. La gente insana è invece pregata di andarselo a consultare. Gamberetta parla del principio di “Show, don’t tell” applicato alla narrativa, ovvero come in un contesto letterario mostrare un’azione o il personaggio in azione o sceneggiare certe sue caratteristiche sia più efficace che raccontare un’azione, raccontare che il personaggio compie un’azione, attribuire al personaggio certe caratteristiche. Secondo l’esempio di Gamberetta, il fatto che la fidanzata di Luca debba alzarsi in punta di piedi per baciarlo è più incisivo del semplice “Luca era alto”, in quanto la scena mostrata colpisce l’immaginario del lettore più di quella raccontata.
Ebbene, come può tale constatazione rendere una giornata importante? Facendo capire che il capitolo postato subito sotto è un’autentica schifezza, per esempio. Facendomi capire che se voglio scrivere di un circo dovrò informarmi sulle dimensioni di un circo, sui materiali, sulle dinamiche di certe evoluzioni dei contorsionisti. Baggianate, dice la gente piena di buonsenso (leggi, di nuovo i miei genitori). Ma no. Assolutamente no. Adesso ho chiaro il motivo per cui rigetto tutto ciò che ho scritto nell’ultimo periodo. Perché è tutto tell e niente show. Non sono abbastanza dentro i personaggi. Mi diverto a guardarli dall’esterno e a imbastire qualche frasetta ironica. Non è così che si fa. Ho anche stampato il mio ultimo lavoro di senso compiuto e impugnato la matita. Mi proponevo di demolirlo, invece ho tirato un sospiro di sollievo. Ho capito la sostanziale differenza tra QUEL lavoro e questi presenti. Ho ricordato il travaglio compositivo, lo sforzo per incastrare ogni dannata parola, lo stordimento seguente la composizione di un paragrafo, il cancellare e il riscrivere. È stato difficile scrivere QUELLO, è troppo facile scrivere il capitolo sotto. Perché l’una è cosa di una certa qualità, l’altra no.
Complessivamente, ho capito di saper mostrare, ne ho la capacità. Ne ho la capacità ma sembra che non mi stia impegnando abbastanza per applicarla. Non sto scavando abbastanza. Non riesco a uscire dai rottami dell’autobiografia.
Basta, ora basta. È ora di darci un taglio. È ora di smettere di scrivere pagine di banalità. Ci vuole che mi impegno su un soggetto e mi impegno seriamente o non avrò più rispetto di me stessa.
Ebbene, concordo con i miei genitori. La mia sanità mentale è a rischio. Ma cazzo, perché loro non capiscono che l’insania è l’unica cosa importante per me, l’unica che mi permetta di lavorare? Io non voglio stare bene, voglio scrivere. Voglio scrivere bene, punto.

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