sabato 5 aprile 2014

Le luci, Marco Tamborrino



«E sempre il viso di mia sorella faceva capolino tra le tendine del mio cuore. Il suo sorriso quando andava a morire. Il sole che splendeva tra i denti bianchi e le labbra sottili e morbide. Io sapevo com’era fatto quel viso e bruciavo dal desiderio di scrivere perché potessi rileggere, anche in punto di morte, com’era bella mia sorella. Scrivere per ricordare. Null’altro.»


Siamo abituati a pensare alla Resistenza italiana come a un momento di intenso orgoglio patriottico, di faticosa riconquista di una dignità messa a tacere sotto la dittatura fascista. Consideriamo solo raramente quel che fu l’Italia di quegli anni: un paese piagato dalla guerra civile, insanguinato dalla lotta fratricida tra partigiani e repubblichini, in cui gli atti dell’una e dell’altra parte si ripercuotevano con esiti non dissimili sulla popolazione inerme. Un capitolo storico che è difficile, quasi impossibile considerare con sguardo neutro. Eppure è questo lo sforzo che l’autore ci chiede: mettere a tacere il nostro giudizio etico, qualunque esso sia, e ponderare lo spesso lago di sangue che ricopre il terreno, sangue di giovani partigiani, sangue di giovani repubblichini, sangue di madri, di padri, di sorelle, di qualcuno che si amava ed è perduto. Sangue che, quando è sparso, non importa la causa per cui sia caduto. Per una madre, un padre, un fratello, non importa quanto il dolore della perdita.
È con la perdita della sorella Isa che il protagonista, Bastiano, deve fare i conti. Uccisa perché collaborava coi partigiani, Isa è il centro attorno al quale tutto ruota, la vera causa che muove le azioni e le riflessioni di Bastiano. 
La perdita di Isa viene affrontata da Bastiano in tre fasi. Prima, con l’aggrapparsi ferocemente al ricordo, l’immagine di lei rievocata in ogni sfaccettatura: le labbra, i denti, il modo di sorridere, di ballare… Secondo, con la consapevolezza che il ricordo non è abbastanza, perché fumoso, labile, e che solo la scrittura del ricordo – immortalare – potrà salvare Isa da una seconda morte. Infine, col ripercorrere proprio le orme della sorella, ricalcare i suoi passi a fianco dei partigiani, in una resistenza mossa non dalla fede ideologica, ma dalla volontà di avvicinarsi a Isa ancora e ancora. 
Bastiano si immerge nella Resistenza al seguito di Alex, personaggio già noto a quanti hanno letto Datemi la guerra, ma che in questo capitolo troviamo decisamente mutato, certo più consapevole, più critico della sua stessa posizione. È da Alex che vengono le parole più dure contro la guerra civile: «E c’è sangue, sempre più sangue. Tu vedi la luce in questo sangue?». Forse Bastiano la vede, la luce in quel sangue. Forse filtra il sangue attraverso la luce di Isa. O comunque non rinuncia a una visione personale per una presa di posizione. Insegue l’amore, sa vedere l’amore. Il suo sguardo spesso troppo candido – “la neve cadeva come un miracolo” – investe la violenza che percorre il romanzo, trasformandola in qualcosa d’altro, svuotandola di significato. Insieme, lo sguardo disincantato di Alex e lo sguardo immacolato di Bastiano restituiscono il quadro complessivo di uno sbaglio. 
È un romanzo breve, che si legge in un paio d’ore, ma piuttosto denso nella forma e nei contenuti. Se Faulkner e McCarthy influenzano percettibilmente lo stile, pure le parole cadono in una musicalità stupenda, che contraddistingue l’autore fin dalle sue prime prove. Quel che gli auguriamo è di continuare a migliorarsi, inseguendo l’obiettivo irrinunciabile di una voce personale, ma senza tradire quel nucleo originale e tutto suo di purezza espressiva. 


Di Chiara Pagliochini

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