lunedì 3 novembre 2014

Aspettando Godot, Samuel Beckett

«We are no longer alone, waiting for the night, waiting for Godot, waiting for… waiting».


Il signor Samuel Beckett sapeva un paio di cose circa l’aspettare. Per esempio, dovette aspettare 41 anni prima di capire che il teatro (non la poesia, non il racconto, non il romanzo) era il contenitore ideale della sua scrittura. Se ogni romanzo imprigionava il suo spirito come un barattolo di vetro, il teatro era il martelletto con cui battere il vetro per mandarlo in frantumi, liberando così la potenza imbrigliata. Che Godot sia un testo potente lo dimostra l’accanimento con cui ogni lettura critica si lancia a scarnificarlo. La lettura più nota – quasi una vulgata – è quella che vuole Godot come Dio (God) e l’attesa di Vladimir ed Estragon come attesa della salvazione. E non che nel testo manchino rimandi piuttosto espliciti, vedi la storia dei due ladroni (un solo ladrone è stato salvato, e soltanto in uno dei Vangeli: è l’idea che tormenta Vladimir), i riferimenti alla vigna e al padrone, l’albero, i campi semantici della salvezza e della dannazione… e molto, molto altro. A dispetto di questo evidente sottotesto, il buon Samuel ebbe a dire: «If by Godot I had meant God, I would [have] said God, and not Godot». Ci sarà da credergli?


Eppure, l’attesa è una condizione così connaturata all’esperienza terrena da non necessitare, forse, alcuna metafisica. Aspettiamo che le nostre ambizioni diventino realtà. Aspettiamo l’amore. Aspettiamo che qualcuno o qualcosa – un essere finito, infinito o un’infinità di cose – riempiano il vuoto dei nostri giorni e dei nostri anni, attribuendo un senso superiore alle nostre azioni, inceppando il meccanismo mortifero dell’abitudine. È l’abitudine che ammazza Vladimir ed Estragon, privandoli della memoria dei giorni passati, perché i giorni passati sono uguali all’oggi, e il domani sarà uguale all’oggi e ai giorni passati: niente, se non il nuovo, vale la pena di essere atteso e vissuto. Alla luce di questo, l’unica cosa che conta è ingannare l’attesa, «trovare qualcosa per darsi l’impressione di esistere». Qualsiasi cosa pur di tenere lontana la rassegnazione, che è morte.
Il ragazzo lo dice loro ogni sera, lo ha detto loro ogni sera della loro vita: Godot non verrà. Non oggi, almeno. To-morrow, and to-morrow, and to-morrow. Nondimeno, Vladimir ed Estragon lo aspettano, e questo (forse una maledizione) li tiene – ci tiene – in vita.

VLADIMIR: Well? Shall we go?
ESTRAGON: Yes, let’s go.

THEY DO NOT MOVE. 

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