martedì 5 maggio 2015

L'avversario, Emmanuel Carrère

« Sono sicuro che non stia recitando per ingannare gli altri, mi chiedo però se il bugiardo che c’è in lui non lo stia ingannando. […] Non sarà caduto ancora una volta nella rete dell’Avversario? »


La storia di Jean-Claude Romand, raccontata da Carrère in questo strano reportage, è la più autentica dimostrazione del fatto che la realtà supera di gran lunga la fantasia. Nel gennaio del 1993 Romand stermina la sua intera famiglia: padre, madre, moglie e i due figli piccoli. Non contento, cerca di uccidere anche la sua amante. Il giorno dopo gli omicidi, non prima di essere uscito a comprare il giornale e aver guardato un po’ di tv, tenta goffamente di suicidarsi appiccando il fuoco alla sua casa. Ma il tentativo è, per l’appunto, tanto maldestro – e forse neanche realmente tale – che i pompieri riescono a domare le fiamme e a salvarlo. Risvegliatosi dal coma, Romand cerca dapprima di attribuire la responsabilità delle sue azioni a un misterioso aggressore vestito di nero, poi confessa tutti gli omicidi. Ma non è tutto. Emerge, infatti, quello che è il lato più paradossale della vicenda: per diciotto anni Romand ha ingannato la sua famiglia, i suoi amici e tutti i suoi conoscenti fingendo di essere laureato in Medicina e di occupare un prestigioso posto di ricercatore presso l’OMS. In aggiunta a questo, ha simulato un cancro terminale e truffato familiari e amici per convincerli ad affidargli ingenti somme di denaro, promettendo di investirle in Svizzera e di farle fruttare e utilizzandole invece per mantenere un tenore di vita medio-alto, che non avrebbe potuto offrire alla sua famiglia in altro modo. Ma tutto questo non sarebbe davvero straordinario se nessuno – davvero nessuno in diciotto anni – avesse anche solo dubitato della sua sincerità. No, per tutto quel tempo il dottor Romand è apparso agli occhi della sua famiglia e della sua comunità come il più onesto, il più infaticabile, il più noioso uomo che ci fosse al mondo.
« Durante tutta l’istruttoria il giudice non riusciva a capacitarsi che quelle telefonate non fossero state fatte prima, non con malizia o sospetto, ma solo perché è assurdo che uno, per quanto sia un tipo “a compartimenti stagni”, lavori dieci anni senza che sua moglie o i suoi amici lo chiamino mai in ufficio, roba da non credere. Impossibile pensare a questa storia senza immaginare che sotto ci sia un mistero, una spiegazione nascosta. Il mistero, però, è che non esistono spiegazioni, e per quanto inverosimile possa sembrare, questo è ciò che è accaduto ».

Carrère ricostruisce puntualmente la vicenda, basandosi non solo sui fascicoli processuali, ma partecipando in prima persona al processo e intrattenendo una corrispondenza con lo stesso Romand. Nonostante questa sua attiva partecipazione, il personaggio Romand continua a sfuggirgli. Lo scrittore non ne fa certo un’apologia, e neanche definitivamente lo condanna. Quel che mi pare di capire è che egli – come noi, posti davanti a certi efferati fatti di cronaca – non lo capisca. Talmente contradditorio, beffardo, straordinario e irritante è Jean-Claude Romand, non un uomo con una personalità ben formata, ma piuttosto un individuo nudo, privo di una psicologia decifrabile, rivestito solo di bugia. Il lettore segue la storia di Jean-Claude con un certo interesse, misto anche di stupore e di raccapriccio. Questo impedisce, certo, che si senta qualche legame emotivo con la scrittura e, in questo caso, è bene così. Un buon Carrère, il mio primo, e credo non sarà l’ultimo. 

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